L’inventario del Museo

Recentemente sono stato incaricato di progettare un nuovo sistema di racconto digitale di una collezione privata.
Il primo problema da risolvere?
Avere a disposizione oltre 10.000 oggetti e NON avere nessun catalogo.
Era necessario partire dal creare l’inventario del museo.

Una collezione ben archiviata è un bene per tutti: per chi la possiede, per chi la fruisce e per i posteri, ma anche per un qualsiasi software, che quei dati li può prendere, usare, divulgare; li può trasformare persino in un gioco… la gamification dell’edutainment, tanto per eccedere nelle terminologie e metterci un pò di wow effect.

La prima parola chiave della archiviazione digitale è ontologia.
Tralasciandone la definizione, queste sono le operazioni tipiche che sono possibili con un modello ontologico, che ne spiegano l’utilità:

  • Unire in un unico modello le informazioni provenienti da sorgenti, campi, discipline diverse
  • Eseguire il mapping tra i concetti
  • Costruire un modello ontologico estendendone uno esistente (qualora ne esista uno…

Un fulgido esempio di archiviazione ontologica ce lo dà il British Museum che, da sempre primo nella divulgazione e nel costruire pratiche di cultura aperta introduce così il suo database on-line:

The Museum’s collection online offers everyone unparalleled access to objects in the collection. This innovative database is one of the earliest and most extensive online museum search platforms in the world.

There are currently 2,335,338 records available, which represent more than 4,000,000 objects

Queste sono le istruzioni, chiare, semplice e complete: un compendio perfetto del cercare on-line.

E questa è una delle schede.

L’oggetto in questione Artificial Rock No. 82 me lo ha proposto la home page; la cosa rilevante è che cercando “Lake Tai”, due parole interne alla descrizione dell’oggetto, posso trovare tutto quello che, all’interno della collezione, ha a che fare con questo lago; questo perchè è utilizzato un sistema di ricerca semantica, che trova i dati all’interno di un database costituito da file xml.
Ogni cosa che il British Museum fa è lo stato dell’arte, un porto sicuro da cui partire.

Sono state molto utili altre due fonti:


La realtà aumentata nel taschino

Oscar Falmer ha sviluppato un interessate progetto che aggiunge la realtà aumentata al “tradizionale” biglietto da visita.
In questo video lo vediamo in azione.

Di sicuro Falmer ha utilizzato questo progetto più come strumento per il suo marketing personale, che come reale prodotto da commercializzare, visto che ad oggi le applicazioni reader di realtà aumentata non sono ancora installate su tutti i cellulari.
Forse ad oggi, se non si vogliono perdere importanti contatti, è ancora meglio utilizzare il tradizionale biglietto dove è l’inchiostro che parla, ma non c’è dubbio che da qui a poco le cose potrebbero cambiare, visto l’impennata del mercato della AR.
Per gli appassionati di numeri, qui ci sono un po’ di statistiche sulla crescita dei mercati che ruotano intorno alla realtà aumentata.

Se proprio si vuole aggiungere un tocco di tecnologia sul biglietto da visita, ci si può inserire un qr code, visto che ormai ogni applicazione di cattura fotografica, la fotocamera del cellulare, li riconosce e li legge in automatico.

Basta creare un qr code che contenga in dati personali in formato v-card, comporlo nella grafica del biglietto, puntarci la camera del cellulare, salvare, e il gioco è fatto: il nuovo, importantissimo contatto è nella rubrica.
Provare per credere!

 

 


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